sabato 6 agosto 2016

Desiderio proibito di Jim Morrison









In tutti i divieti c'è

una magica forza
che induce alla tentazione.
Il vietato è contagioso,
i desideri proibiti
si propagano in noi
come tormento perenne
infuriato dall'inibizione.
L'ubbidienza al tabù
presuppone la rinuncia,
perché tutti i divieti
sono menomazioni che
nascondono desideri.
Così la tentazione
cresce a dismisura nella
prigione dell'inconscio.

L'UOMO IN PIGIAMA DI E. MONTALE






 

Passeggiavo nel corridoio, in pantofole e pigiama, scavalcando di tanto in tanto un cumulo di biancheria sudicia. Il mio albergo era di prima categoria perch aveva due ascensori e un montacarichi (quasi sempre guasti) ma non disponeva di un ripostiglio per lenzuola, federe e asciugamani in provvisorio disuso e le cameriere dovevano ammucchiarli qua e l negli angoli morti. A notte inoltrata in quegli angoli morti arrivavo io, e perci le cameriere non mi amavano. Tuttavia, dopo aver dato qualche mancia, avevo ottenuto il tacito permesso di deambulare dove volevo. Era la mezzanotte passata. Trill piano un telefono. Che fosse nella mia stanza? Mi avviai con passi felpati ma sentii che qualcuno rispondeva; era al numero 22, la stanza vicina alla mia. Stavo per ritirarmi quando la voce che rispondeva, una voce di donna, disse: "Non venire ancora, Attilio: c' un uomo in pigiama nel corridoio. Passeggia in su e in gi. E potrebbe vederti". 
Sentii dall'altra parte un confuso gracidio. "Mah?" ripose lei "non so chi sia. un disgraziato che fa sempre cos. Non venire, ti prego. Semmai ti avviso io." Riattacc con un tonfo, udii passi nella camera. Mi allontanai d'urgenza scivolando come sui pattini. In fondo al corridoio c'era un sof, un secondo cumulo di biancheria e un muro. Sentii la porta della camera 22 aprirsi; da uno spiraglio la donna mi osservava. L in fondo non potevo restare; tornai indietro lentamente. Avevo circa dieci secondi di tempo prima di passare davanti al 22. Fulmineamente esaminai le varie ipotesi possibili. 1) Tornare nella mia stanza e chiudermici dentro; 2) idem con variante, informando cio la signora che avevo sentito tutto e che intendevo farle cosa grata ritirandomi; 3) chiederle se proprio ci teneva a ricevere Attilio o se io ero un pretesto da lei scelto per esimersi da un non grato "bullfight" notturno; 4) ignorare il colloquio telefonico e continuare nella mia passeggiata; 5) chiedere alla signora se intendeva eventualmente sostituirmi all'uomo del telefono ai fini di cui al numero tre; 6) esigere spiegazioni sul termine "disgraziato" col quale aveva creduto di designarmi; 7) ... la settima stentava a formarsi nel mio cervello. Ma ormai ero davanti allo spiraglio. Due occhi neri, una liseuse rossa su una camicia di seta, una capigliatura corta ma piuttosto ricciutella. Fu un attimo, lo spiraglio si richiuse di colpo. Il cuore mi batteva forte. Entrai nella mia camera e sentii il telefono trillare ancora al numero 22. La donna parlava piano, non sentivo le parole. Tornai nel corridoio con passo da lupo e allora qualcosa riuscii a distinguere: " impossibile, Attilio, ti dico ch' impossibile...". Poi il clac del ricevitore riattaccato e il passo di lei verso la porta. Con un salto mi pecipitai verso il cumulo d'immondizie numero due, rimuginando in cuor mio le ipotesi 2, 3, 5. Lo spiraglio si aperse ancora. Fermo l era impossibile restare. Mi dissi: sono un disgraziato, ma lei come ha fatto a saperlo? E se passeggiando la salvassi da Attilio? Oppure salvassi Attilio da lei? Non sono fatto per essere l'arbitro di nulla, tanto meno della vita degli altri. Tornai indietro trascinando una federa con una pantofola. Lo spiraglio era pi largo, la testa ricciuta sporgeva di pi. Ero a un metro da quella testa. Mi irrigidii sull'attenti dopo essermi liberato con un calcio dalla pantofola. Poi dissi con voce troppo forte che rintron nel corridoio: "Ho finito di passeggiare, signora. Ma come sa che sono un disgraziato?". "
Lo siamo tutti" disse lei e richiuse la porta di scatto. Trill ancora il telefono nell'interno.
Eugenio Montale

IL 9 DICEMBRE 1608, NACQUE LO SCRITTORE “ JOHN MILTON “








John Milton (Londra, 9 dicembre 1608 – Londra, 8 novembre 1674) è stato uno scrittore, poeta, saggista e statista inglese. È considerato uno dei letterati britannici più celebri, apprezzati e influenti dell'epoca successiva a quella shakespeariana. Il suo capolavoro è il poema epico Paradiso perduto (Paradise Lost), pubblicato in una prima edizione di 10 volumi nel 1667 quando, ormai cieco e in povertà, il 27 aprile dello stesso anno ne vendette i diritti per dieci sterline, e in una seconda edizione di 12 volumi nel 1674. L'opera, che dà vita a quello che viene considerato un vero e proprio dramma cosmico, fu da lui iniziata negli anni della produzione saggistica. Milton scrisse anche 24 sonetti (in parte pubblicati postumi) e un breve testo didattico, il Trattato dell'educazione (Tractate of Education. Educato in un ambiente puritano, dopo aver conseguito la laurea al Christ's College di Cambridge, Milton avvertì insoddisfazione verso il clero anglicano; contestualmente, il crescente interesse per la poesia lo indusse a rinunciare a prendere gli ordini sacri. Vivendo con il padre, dal 1632al 1638 nel Buckinghamshire, poté studiare, libero da ogni preoccupazione, i classici e la storia ecclesiastica e politica, specialmente su testi di Bembo, Dante, Petrarca e Tasso. Oltre al Paradiso perduto, al quale farà seguire nel 1671 il Paradiso riconquistato — pubblicato con la tragedia Sansone Agonista, ispirata alle vicende bibliche di Sansone —, la produzione letteraria di Milton annovera diversi importanti scritti. Risalgono al periodo compreso tra il 1625 e il 1640 il Lycidas, un'elegia pastorale in 193 versi, scritta nel 1637 in memoria di uno studente di Cambridge, in cui il poeta affronta il tema della morte che, specialmente se prematura, giunge a spezzare aspettative e ambizioni, e L'allegro e Il pensieroso, due poemetti terminati di scrivere nel 1631 ma pubblicati solo una quindicina di anni dopo. Milton ricoprì anche cariche di Stato: quando l'Inghilterra fu attraversata dalla guerra civile ed egli appoggiò con i suoi scritti la causa parlamentare fu nominato nel 1649 segretario degli Affari esteri. Pochi anni dopo, nel 1652, fu colpito da cecità e per proseguire a scrivere dovette ricorrere all'aiuto di un segretario. Nella sua opera finale, De doctrina christiana, sosteneva che insegnamenti e usanze della Chiesa Cattolica Romana e delle Chiese Protestanti non erano in armonia con le Sacre Scritture. Quivi fece riferimento alle Scritture o le citò più di novemila volte e promosse l' uso, per indicare il nome di Dio, del termine Geova, riportandolo liberamente nei suoi scritti. L' essenza e il pensiero di John Milton sono importanti sotto vari punti di vista. Innanzitutto, seppe integrare benissimo la vita da letterato e la carriera diplomatica. È stato grazie alla vittoria di Cromwell nella guerra civile che Milton poté trovare appoggi alle sue convinzioni e alle sue idee. Inoltre è stato sempre considerato il poeta più rappresentativo di questo periodo, poiché in lui sono sintetizzate tutte le qualità che devono essere presenti nel perfetto puritano.

Dov’eri di Carolina Turroni










Dov’eri
quando la paura m’incurvava le spalle?
Dov’eri
quando il cuore mi bruciava le carni ?
Avrei voluto le tue mani
a tenermi ferme le ginocchia nude
Avrei voluto i tuoi occhi nobili
a darmi il coraggio che mancava.
Dov’eri
quando avevo bisogno di te ?
Quando volevo un nome da gridare
nella notte
Quando credevo che in due
ci si salvasse meglio?
C’è un posto
dove posso trovare pace? 
Sul tuo petto
una terra scura e profumata di te.
Quelle tue braccia di polvere le ascolto
nel silenzio.
Accarezzo un nemico 
che mi conosce l’anima.
Mentre vorrei accarezzare te.
Carolina Turroni @2012

Lento si sdraia l’inverno di Elena Deserventi







Lento si sdraia l’inverno
nel tempo ch’è suo.
Ammanta di neve la terra
la sparge di brina filata 
la stringe in abbracci di ghiaccio
signore di un mondo di gelo
reale … .con aspetto fatato…
I rami si tendono irti
in cerca di verde e di canti.
Rimangon delusi in attesa…
Tra vite ammaliate dal bianco 
s’insinuan sussurri soffiati
“La notte….s’accorcia……il giorno
ha un filo di luce …men breve.”
E fremon le vite nascoste a difesa.
Il buio amico sicuro del verno
non dubita di vincere il giorno.
Il superbo terribil regnante
protegge nolente 
il risveglio silente.
A scorno fogliette in breve affiorate
cip cip in rantoli di nevi morenti
poi timidi fiori di prati e di balzi
in lotta con torbidi vortici
di ghiacci solventi
e venti incombenti.
Non dura per sempre
un potere in Natura.
Il giusto equlibrio del tempo a misura
Difende la vita del mondo .
Gli uomini vedono e non sanno imparare
I potenti si credono eterni
E finiscono in panne….
Eterno inverno di un genere cieco.

VERTIGO di Paola Bajo.






E’ la tua vertigine poetica
che assale, incombe,
ruba l’anima
sovverte pallidi pensieri
accende rossi desideri.
Occhi su occhi
mani su mani.
Affascinante spirito bizzarro
trova la chiave,
è lì nel mazzo,
c’è pelle che attende
bagnata della rugiada
che tu dipingi.
Pizzico di follia
l’isola è vicina
linea di sabbia rovente
ti coprirò con granelli dorati
mi appiccicherò a te.
Immagina
mangiami
bevimi
suona e canta.
Melodia di anima ribelle
non c’è cielo che sovrasta
né profondità che dilaga
è l’incanto che non si spezza
e ci condanna dolcemente
ancora ed ancora
a cercarci e ritrovarci
nelle fughe in cui mai
ci si dimentica di tornare.
(BjP) 24-10-2014

lunedì 1 agosto 2016

Reyhahneh Jabbari. di Fabiana Persico












Si perdono i luoghi remoti di pace,
scava avida la mediocrità
nelle menti dell’ uomo,
nulla è possibile,
se l’ amore sopito
sembra un cadavere parlante,
un manichino in vetrina
che rende onore
a pietre d’oro,
scagliate da fratello a fratello.
La bottega del cuore
non ha più merci da vendere
ed è un mercato oscuro
questa terra
popolata da venditori di dolore.
Ma non temere,
mia dolce bambina,
se si pugnala un fiore
la primavera non muore.
Cerco ogni senso,
in questa tua morte feroce,
l’insulto dell’ uomo
rinuncia a quel Dio
che vollero aguzzino,
assassino di vita e d’amore.
Mi inchino a te,
con il capo coperto
da bellezza perduta
e caduca speranza.
Celebro i tuoi pochi giorni
ed è respiro di vita questo mio comiato.
Piccolo splendore del giorno,
dimentica gli umani pugnali,
la sciocca arroganza dell’ uomo
si spegne
nelle tue stelle,
in quel tuo sorriso pacato,
nelle tue unghie dipinte di vita,
carnale tela di Dio.
Qui ti lascio,
tra speranza e stelle,
tra l’ alba e il tramonto,
dove il tuo sangue
è solo l’ inchiostro
di un dipinto del divino amore.
FABIANA PERSICO