sabato 6 agosto 2016

Desiderio proibito di Jim Morrison









In tutti i divieti c'è

una magica forza
che induce alla tentazione.
Il vietato è contagioso,
i desideri proibiti
si propagano in noi
come tormento perenne
infuriato dall'inibizione.
L'ubbidienza al tabù
presuppone la rinuncia,
perché tutti i divieti
sono menomazioni che
nascondono desideri.
Così la tentazione
cresce a dismisura nella
prigione dell'inconscio.

L'UOMO IN PIGIAMA DI E. MONTALE






 

Passeggiavo nel corridoio, in pantofole e pigiama, scavalcando di tanto in tanto un cumulo di biancheria sudicia. Il mio albergo era di prima categoria perch aveva due ascensori e un montacarichi (quasi sempre guasti) ma non disponeva di un ripostiglio per lenzuola, federe e asciugamani in provvisorio disuso e le cameriere dovevano ammucchiarli qua e l negli angoli morti. A notte inoltrata in quegli angoli morti arrivavo io, e perci le cameriere non mi amavano. Tuttavia, dopo aver dato qualche mancia, avevo ottenuto il tacito permesso di deambulare dove volevo. Era la mezzanotte passata. Trill piano un telefono. Che fosse nella mia stanza? Mi avviai con passi felpati ma sentii che qualcuno rispondeva; era al numero 22, la stanza vicina alla mia. Stavo per ritirarmi quando la voce che rispondeva, una voce di donna, disse: "Non venire ancora, Attilio: c' un uomo in pigiama nel corridoio. Passeggia in su e in gi. E potrebbe vederti". 
Sentii dall'altra parte un confuso gracidio. "Mah?" ripose lei "non so chi sia. un disgraziato che fa sempre cos. Non venire, ti prego. Semmai ti avviso io." Riattacc con un tonfo, udii passi nella camera. Mi allontanai d'urgenza scivolando come sui pattini. In fondo al corridoio c'era un sof, un secondo cumulo di biancheria e un muro. Sentii la porta della camera 22 aprirsi; da uno spiraglio la donna mi osservava. L in fondo non potevo restare; tornai indietro lentamente. Avevo circa dieci secondi di tempo prima di passare davanti al 22. Fulmineamente esaminai le varie ipotesi possibili. 1) Tornare nella mia stanza e chiudermici dentro; 2) idem con variante, informando cio la signora che avevo sentito tutto e che intendevo farle cosa grata ritirandomi; 3) chiederle se proprio ci teneva a ricevere Attilio o se io ero un pretesto da lei scelto per esimersi da un non grato "bullfight" notturno; 4) ignorare il colloquio telefonico e continuare nella mia passeggiata; 5) chiedere alla signora se intendeva eventualmente sostituirmi all'uomo del telefono ai fini di cui al numero tre; 6) esigere spiegazioni sul termine "disgraziato" col quale aveva creduto di designarmi; 7) ... la settima stentava a formarsi nel mio cervello. Ma ormai ero davanti allo spiraglio. Due occhi neri, una liseuse rossa su una camicia di seta, una capigliatura corta ma piuttosto ricciutella. Fu un attimo, lo spiraglio si richiuse di colpo. Il cuore mi batteva forte. Entrai nella mia camera e sentii il telefono trillare ancora al numero 22. La donna parlava piano, non sentivo le parole. Tornai nel corridoio con passo da lupo e allora qualcosa riuscii a distinguere: " impossibile, Attilio, ti dico ch' impossibile...". Poi il clac del ricevitore riattaccato e il passo di lei verso la porta. Con un salto mi pecipitai verso il cumulo d'immondizie numero due, rimuginando in cuor mio le ipotesi 2, 3, 5. Lo spiraglio si aperse ancora. Fermo l era impossibile restare. Mi dissi: sono un disgraziato, ma lei come ha fatto a saperlo? E se passeggiando la salvassi da Attilio? Oppure salvassi Attilio da lei? Non sono fatto per essere l'arbitro di nulla, tanto meno della vita degli altri. Tornai indietro trascinando una federa con una pantofola. Lo spiraglio era pi largo, la testa ricciuta sporgeva di pi. Ero a un metro da quella testa. Mi irrigidii sull'attenti dopo essermi liberato con un calcio dalla pantofola. Poi dissi con voce troppo forte che rintron nel corridoio: "Ho finito di passeggiare, signora. Ma come sa che sono un disgraziato?". "
Lo siamo tutti" disse lei e richiuse la porta di scatto. Trill ancora il telefono nell'interno.
Eugenio Montale

IL 9 DICEMBRE 1608, NACQUE LO SCRITTORE “ JOHN MILTON “








John Milton (Londra, 9 dicembre 1608 – Londra, 8 novembre 1674) è stato uno scrittore, poeta, saggista e statista inglese. È considerato uno dei letterati britannici più celebri, apprezzati e influenti dell'epoca successiva a quella shakespeariana. Il suo capolavoro è il poema epico Paradiso perduto (Paradise Lost), pubblicato in una prima edizione di 10 volumi nel 1667 quando, ormai cieco e in povertà, il 27 aprile dello stesso anno ne vendette i diritti per dieci sterline, e in una seconda edizione di 12 volumi nel 1674. L'opera, che dà vita a quello che viene considerato un vero e proprio dramma cosmico, fu da lui iniziata negli anni della produzione saggistica. Milton scrisse anche 24 sonetti (in parte pubblicati postumi) e un breve testo didattico, il Trattato dell'educazione (Tractate of Education. Educato in un ambiente puritano, dopo aver conseguito la laurea al Christ's College di Cambridge, Milton avvertì insoddisfazione verso il clero anglicano; contestualmente, il crescente interesse per la poesia lo indusse a rinunciare a prendere gli ordini sacri. Vivendo con il padre, dal 1632al 1638 nel Buckinghamshire, poté studiare, libero da ogni preoccupazione, i classici e la storia ecclesiastica e politica, specialmente su testi di Bembo, Dante, Petrarca e Tasso. Oltre al Paradiso perduto, al quale farà seguire nel 1671 il Paradiso riconquistato — pubblicato con la tragedia Sansone Agonista, ispirata alle vicende bibliche di Sansone —, la produzione letteraria di Milton annovera diversi importanti scritti. Risalgono al periodo compreso tra il 1625 e il 1640 il Lycidas, un'elegia pastorale in 193 versi, scritta nel 1637 in memoria di uno studente di Cambridge, in cui il poeta affronta il tema della morte che, specialmente se prematura, giunge a spezzare aspettative e ambizioni, e L'allegro e Il pensieroso, due poemetti terminati di scrivere nel 1631 ma pubblicati solo una quindicina di anni dopo. Milton ricoprì anche cariche di Stato: quando l'Inghilterra fu attraversata dalla guerra civile ed egli appoggiò con i suoi scritti la causa parlamentare fu nominato nel 1649 segretario degli Affari esteri. Pochi anni dopo, nel 1652, fu colpito da cecità e per proseguire a scrivere dovette ricorrere all'aiuto di un segretario. Nella sua opera finale, De doctrina christiana, sosteneva che insegnamenti e usanze della Chiesa Cattolica Romana e delle Chiese Protestanti non erano in armonia con le Sacre Scritture. Quivi fece riferimento alle Scritture o le citò più di novemila volte e promosse l' uso, per indicare il nome di Dio, del termine Geova, riportandolo liberamente nei suoi scritti. L' essenza e il pensiero di John Milton sono importanti sotto vari punti di vista. Innanzitutto, seppe integrare benissimo la vita da letterato e la carriera diplomatica. È stato grazie alla vittoria di Cromwell nella guerra civile che Milton poté trovare appoggi alle sue convinzioni e alle sue idee. Inoltre è stato sempre considerato il poeta più rappresentativo di questo periodo, poiché in lui sono sintetizzate tutte le qualità che devono essere presenti nel perfetto puritano.

Dov’eri di Carolina Turroni










Dov’eri
quando la paura m’incurvava le spalle?
Dov’eri
quando il cuore mi bruciava le carni ?
Avrei voluto le tue mani
a tenermi ferme le ginocchia nude
Avrei voluto i tuoi occhi nobili
a darmi il coraggio che mancava.
Dov’eri
quando avevo bisogno di te ?
Quando volevo un nome da gridare
nella notte
Quando credevo che in due
ci si salvasse meglio?
C’è un posto
dove posso trovare pace? 
Sul tuo petto
una terra scura e profumata di te.
Quelle tue braccia di polvere le ascolto
nel silenzio.
Accarezzo un nemico 
che mi conosce l’anima.
Mentre vorrei accarezzare te.
Carolina Turroni @2012

Lento si sdraia l’inverno di Elena Deserventi







Lento si sdraia l’inverno
nel tempo ch’è suo.
Ammanta di neve la terra
la sparge di brina filata 
la stringe in abbracci di ghiaccio
signore di un mondo di gelo
reale … .con aspetto fatato…
I rami si tendono irti
in cerca di verde e di canti.
Rimangon delusi in attesa…
Tra vite ammaliate dal bianco 
s’insinuan sussurri soffiati
“La notte….s’accorcia……il giorno
ha un filo di luce …men breve.”
E fremon le vite nascoste a difesa.
Il buio amico sicuro del verno
non dubita di vincere il giorno.
Il superbo terribil regnante
protegge nolente 
il risveglio silente.
A scorno fogliette in breve affiorate
cip cip in rantoli di nevi morenti
poi timidi fiori di prati e di balzi
in lotta con torbidi vortici
di ghiacci solventi
e venti incombenti.
Non dura per sempre
un potere in Natura.
Il giusto equlibrio del tempo a misura
Difende la vita del mondo .
Gli uomini vedono e non sanno imparare
I potenti si credono eterni
E finiscono in panne….
Eterno inverno di un genere cieco.

VERTIGO di Paola Bajo.






E’ la tua vertigine poetica
che assale, incombe,
ruba l’anima
sovverte pallidi pensieri
accende rossi desideri.
Occhi su occhi
mani su mani.
Affascinante spirito bizzarro
trova la chiave,
è lì nel mazzo,
c’è pelle che attende
bagnata della rugiada
che tu dipingi.
Pizzico di follia
l’isola è vicina
linea di sabbia rovente
ti coprirò con granelli dorati
mi appiccicherò a te.
Immagina
mangiami
bevimi
suona e canta.
Melodia di anima ribelle
non c’è cielo che sovrasta
né profondità che dilaga
è l’incanto che non si spezza
e ci condanna dolcemente
ancora ed ancora
a cercarci e ritrovarci
nelle fughe in cui mai
ci si dimentica di tornare.
(BjP) 24-10-2014

lunedì 1 agosto 2016

Reyhahneh Jabbari. di Fabiana Persico












Si perdono i luoghi remoti di pace,
scava avida la mediocrità
nelle menti dell’ uomo,
nulla è possibile,
se l’ amore sopito
sembra un cadavere parlante,
un manichino in vetrina
che rende onore
a pietre d’oro,
scagliate da fratello a fratello.
La bottega del cuore
non ha più merci da vendere
ed è un mercato oscuro
questa terra
popolata da venditori di dolore.
Ma non temere,
mia dolce bambina,
se si pugnala un fiore
la primavera non muore.
Cerco ogni senso,
in questa tua morte feroce,
l’insulto dell’ uomo
rinuncia a quel Dio
che vollero aguzzino,
assassino di vita e d’amore.
Mi inchino a te,
con il capo coperto
da bellezza perduta
e caduca speranza.
Celebro i tuoi pochi giorni
ed è respiro di vita questo mio comiato.
Piccolo splendore del giorno,
dimentica gli umani pugnali,
la sciocca arroganza dell’ uomo
si spegne
nelle tue stelle,
in quel tuo sorriso pacato,
nelle tue unghie dipinte di vita,
carnale tela di Dio.
Qui ti lascio,
tra speranza e stelle,
tra l’ alba e il tramonto,
dove il tuo sangue
è solo l’ inchiostro
di un dipinto del divino amore.
FABIANA PERSICO


venerdì 29 luglio 2016

FABIANA PERSICO – La vita è un’opera teatrale












La vita è un opera teatrale, messa in scena senza un copione scritto con infiniti personaggi che calcano il palcoscenico,alcuni scritturati ad arte ed altri inattesi.Noi siamo insieme protagonisti ed antagonisti di questa opera,facciamo calare tante di quelle volte il sipario che la parola fine ci sembra troppo spesso un orpello inutile.
Applausi e silenzi,emozioni e mormorii in sala,ogni volta il sipario cala e si rialza a richiesta.Quante volte moriamo,quante volte cambiamo abito e trucco pronti per riniziare una nuova commedia,o una nuova tragedia…una storia dietro l’ altra a formare un unica vita che pensiamo eterna ma che eterna non è.
Grandi attori ed inutili comparse e tra gli uni e gli altri, un interludio di volti e battute insignificanti che pure formano questa infinita opera; infiniti personaggi graziosi,che deliziano e distraggono come copie mediocri di opere immortali…
E poi specchi,immensi,innumerevoli specchi in cui osservarci,ammirarci, detestarci e misurarci con noi stessi.Emozionanti attese,pause inutili,battute sprecate, con personaggi vuoti,con maschere di scena
Un opera scritta da noi,un opera che ci scrive che nonostante noi va avanti,scena dopo scena e ci conduce dove vogliamo o dove non ci aspettavamo.
Opere immortali e mediocri scritti mortali,siamo tutto e il suo contrario, storie scritte a quattro mani con Dio,derise o applaudite da infiniti spettatori.Ma infondo chi ama il teatro lo sa,il pubblico è sempre ingeneroso verso i grandi scrittori che hanno rivoluzionato il mondo,l’ardita arte difficilmente richiama allori e oro di scena, la consacrazione troppo spesso giungerà con la morte,quando ogni cosa sarà già scritta,quando la fine darà un senso all’ inizio,perchè non si può giudicare un opera da un unico atto !
Si alzi il sipario ancora allora,Buongiorno


Inno ad Artemide
Dea selvaggia
Signora degli animali
Dei boschi inesplorati
E delle paludi
Delle terre di nessuno
Ai confini
Del mondo abitato
Dove Natura
Regna sovrana
Con la sua legge
Spietata E feconda
Tu che vergine sei
E per sempre
Dei parti  Assisti
L’esito felice
Perché innumeri
Siano abitate
Da umani e da fiere
Le pendici del monti
E le vaste pianure
Tu che ai confini
Dei territori segnati
Stabilisci
La tua incerta dimora
Accogli Chi ai margini vive
Per qualunque motivo
E consenti un incontro
Tra lontani
Impossibile
Al di fuori di te
Agli scambi
Concedi i tuoi auspici
Di cose e di devoti pensieri
E sul gioco perenne
Di preda e predatore
Veglia per sempre
Tu Che della caccia
Che ha sapore
Di morte e di vita
Sei la sovrana
Il tuo arco dorato
E le implacabili frecce
Accosti A quello del divino Fratello
Che riluce della luce del sole
Tu che le notti
E il chiarore di luna
Abiti, nascosta
E incontrastata


artemideLa Moira spietata
Ed un Padre invincibile
Ed un Fratello splendente
Ti condannarono, forse,
al sacrificio
delle unioni d’amore
delle nozze
e della gioia del parto
Ma ti inebri del grido
Della preda ferita
E dei canti di fanciulle
Innumerevoli
Che al tuo volto
Sacrificano
Il vergine fiore
Di te
Non dimentichiamo
Il nome che soccorre
Quando sperduti
Ci trovassimo
In terre senza nome
E la tua freccia
Sicura
Trafigga il nostro cuore
Quando l’ora sia giunta
E non abbandonarci
Alle angosce
Di una lunga agonia*
ARTEMIDE DEA
Ricerca a cura di Martina
La nascita di Artemide e il suo ruolo nell’ OlimpoArtemide, Dea della caccia e della luna nuova, è figlia di Zeus (Dio del Cielo) e Latona (Ninfa) e sorella gemella di Apollo (Dio del Sole).
La Dea Artemide, nata nell’ isola di Delo prima di Apollo, aiutò la madre a partorire il fratello.
Un giorno mentre era ancora una bimba di tre anni suo padre Zeus la prese sulle ginocchia e le chiese quali doni avrebbe gradito.
Lei rispose: l’eterna verginità, l’ eterna giovinezza, tanti nomi quanti ne ha mio fratello Apollo, un arco e delle freccie come i suoi, il compito di portare la luce, una tunica da caccia color zafferano con un bordo rosso che mi giunga fino alle ginocchia, sessanta giovani Ninfe oceanine, tutte della stessa età, come mie damigelle di onore, venti Ninfe dei fiumi, perchè queste si curino dei miei calzari e nutrano i miei cani quando io non sono impegnata nella caccia. Artemide allungò la mano per accarezzare la barba di Zeus che sorrise con orgoglio. Lei lo ringraziò, saltò giù dalle sue ginocchia e poi scelse molte Ninfe di nove anni come Sue ancelle.

atteone
La Dea Artemide è una delle dodici grandi divinità del Monte Olimpo insieme al fratello Apollo. I Romani la identificavano come Diana. A volte Artemide viene confusa con altre tre divinità che sono in realtà diverse: Selene (Dea della luna piena), Ecate (Dea della luna calante) e Siria (Dea della metamorfosi).
I sacri nomi di Artemide
La Dea aveva diversi epiteti: Agrotera, Cinzia, Ecate, Febe, Cordaca, Ortosia, Orthia, Ortigia, Stinfalia, Coritalia, Cariatide, Dafnia, Delia, Brauronia, Elafebolia, Tauropolos, Apanchomene, Ilizia, Anahita, Leucofrine.
Il carattere di Artemide e le sue impreseArtemide è la dea arcera che vive con le ninfe nel bosco, simbolo di libertà, di sorellanza e di capacità di centrare i propri obiettivi.
Dea degli animali selvatici, le donne la chiamano per alleviare i dolori del parto. Tuttavia ha un carattere a tratti selvaggio e vendicativo e numerose furone le vittime della sue collera.
1) Una delle sue prime imprese fu, col fratello Apollo, di mettere a morte i figli di Niobe, compito datole dalla madre Latona. Un giorno, infatti, Latona sentì dire a Niobe di essere un’ eroina superiore, e offesa da questa affermazione chiese ad Apollo di ucciderne i figli maschi e ad Artemide di ucciderne le figlie femmine.
2) Orione aveva cercato di violentare Artemide e così la Dea infuriata gli mandò contro uno scorpione ed Orione venne punso nel tallone e lo uccise. Per aver reso tale servigio, la Dea trasformò lo scorpione e la sua vittima, Orione, in costellazioni. E’ per questo che la costellazione di Orione fugge sempre da quella dello scorpione.
3) Atteone aveva inavvertitamente scorto Artemide mentre Ella, nuda, si bagnava in una fonte. La Dea, infuriata, gli aizzò contro la muta di cinquanta cani dello stesso Atteone, che ella aveva nel frattempo trasformato in cervo; i cani, non riconoscendo il loro padrone nella nuove sembianze, lo sbranarono(1).

Attributi di Artemide
Vestita in una corta tunica, armata di un arco d’argento, una faretra colma di frecce sulla spalla, vagava per i boschi con il suo stuolo di ninfe ed i suoi cani. Veniva associata a molti
animali selvatici, simboli delle sue qualità. Il cervo, la daina, la lepre, la quaglia per la loro natura sfuggente. La leonessa per la sua regalità e l’orso feroce per il suo aspetto distruttivo. L’orso era anche degno simbolo del suo ruolo di protettrice dei piccoli. Era anche associata al cavallo selvatico, libero come lei. Quale dea della luna viene rappresentata con in mano una torcia e con il capo circondato dalla luna e le stelle.
ARTEMIDE, LA SORELLANZA E LA NATURA
di Manuela Caregnato
artemide  artemide artemide
Quale Dea della caccia e della Luna, Artemide è la personificazione dello spirito femminile indipendente.
Ella rientra nella categoria delle Dee vergini che, a differenza di altre, non fu mai rapita o abusata e rappresenta un senso di integrità, di completezza, il cui valore non dipende da “con chi” essa sta, ma da ciò che essa “è” e “sa fare”.
La sua abilità di arciera fa di lei l’archetipo di un femminile che si pone un obiettivo e senza indugi lo raggiunge, dunque rappresenta la capacità di realizzare i propri progetti, una volta messi a fuoco.
Per quanto competitiva, Artemide non vede nelle altre donne delle rivali, bensì delle sorelle. Infatti corre per i luoghi selvaggi sempre accompagnata dalle sue ninfe, divinità minori dei boschi, delle montagne e dei ruscelli. Per altro si arrabbia tantissimo e si attiva per difendere le altre donne, quando queste sono in pericolo. Si tratta dunque di un femminile che prova un senso di solidarietà con le altre donne, la cui compagnia considera irrinunciabile e i cui diritti difende a spada tratta. Per questa ragione è stata presa quale simbolo da molti movimenti femministi.
Nei confronti degli uomini ha un atteggiamento cameratesco, ma senz’altro non cade preda di innamoramenti e fascinazioni. Il gemello Apollo, dio del sole, può essere visto come la sua controparte maschile: lui il sole, lei la luna.
Il suo amore per la natura selvaggia, per i luoghi incontaminati e gli animali liberi fanno di lei anche un modello di donna ecologista, impegnata nella lotta per la salvaguardia dell’ambiente.
L’archetipo Artemide non coincide con un tipo di donna che si realizza nella maternità, bensì rappresenta un genere femminile che “si basta”

e che trova la sua soddisfazione nell’essere pienamente sè stessa, libera e autosufficiente, nel lottare per ciò in cui crede e nel contatto con la natura, che rappresenta la parte più selvaggia di noi.
Tuttavia, avendo aiutato la madre a mettere al mondo suo fratello, è considerata Dea del parto e protettrice delle partorienti, che la chiamano in suo aiuto nel momento del bisogno.
Viene infatti rappresentata come Dea dalle cento mammelle, come si vede in questa rappresentazione dell’Artemide Efesia.
IL RAPPORTO FRA I DIVERSI VOLTI DI ARTEMIDE 
di Patricia Monaghan**
Così come ce la mostra l’arte occidentale, Artemide è la vergine dea lunare che vaga per boschi e foreste acccompagnata dal suo corteo di ninfe, armata di arco e faretra, evitando gli uomini e uccidendo qualsiasi uomo che abbia osato guardarla. Ma questa versione a noi familiare non è che una delle tante identità assunte da questa complessa dea greca: essa era infatti anche l’Artemide di Efeso dalle molte mammelle, un simbolo semi-umano della fecondità e l’Artemide guerriera, ritenuta protettrice delle amazzoni. E’ problematico comprendere se Artemide sia stata in origine una dea omnicomprensiva, scissasi in seguito in due identità distinte, o se invece abbia acquisito una natura così complessa assorbendo gli attributti che in precedenza contraddistinguevano le dee minori, allorchè i suoi fedeli ebbero in mano il dominio della grecia.
Comunque stiano le cose, Artemide, come Iside o Ishtar, finì per rappresentare le mutevoli energie femminili. Da qui nasce la sua contradditorietà: essa era la vergine dedita alla promisquità sessuale; era la cacciatrice che proteggeva gli animali; era un’albero, un’orsa, la luna. Artemide era l’immagine della donna, che, attraversando la propria vita, assume via via ruoli diversi : un vero e proprio compendio delle potenzialità femminili.
artemide
artemide e atteone
artemide
artemide

In uno dei suoi aspetti Artemide era una ninfa e governava su tutte le ninfe, una forza elementare il cui regno erano i boschi, nei quali vige un ordine tanto diverso da quello umano da apparire a noi come informe e libero; ma questa libertà è quella della completa obbedienza all’istinto, che gli animali possiedono ancora, a differenza degli esseri umani.
Sotto questo aspetto Artemide era la ‘Signora della Selvaggina’, la forza dell’istinto che assicura, attraverso la morte degli individui, la sopravvivenza della specie.
Come Signora degli animali, era per i Greci l’invisibile guardiana degli animali selvatici, colei che uccideva con le sue frecce acuminate chiunque desse la caccia a bestie gravide o a cuccioli. Un altro istinto su cui vegliava era quello della riproduzione, nelle sue manifestazioni del sesso e del parto; essa seguitò a essere la protettrice delle partorienti anche nella leggenda più tarda; quando la sua importanza come dea era ormai oscurata da quella degli dei maschi, il mito descriveva ancora Artemide come la gemella (nata prima) del sole (che in origine non era considerato suo fratello), la quale avrebbe fatto da levatrice durante la nascita di quest’ultimo. Artemide era la forza della creazione, colei che le madri greche invocavano quando le doglie del parto avevano inizio, trovando un sollievo nella credenza che essa le assistesse durante il travaglio così come faceva per qualsiasi femmina animale in procinto di partorire.
L’aspetto di ninfa dei boschi, dopotutto, non differisce poi molto da quello più noto della Madre Artemide, il cui grandioso tempio nella città di Efeso, legata al ricordo delle Amazzoni, era una delle meraviglie del mondo antico. Lì si ergeva la sua famosa statua massiccia, costituita da un possente busto privo di gambe da cui pendeva un gran numero di mammelle, sovrastato da una testa che reggeva la corona turrita della città. Questa Artemide era soltanto una visualizzazione diversa della stessa energia rappresentata dalla ninfa boschiva: l’istinto vitale, che spinge a produrre e riprodurre in continuazione, a divorare e a morire. Vi è una forza nell’immagine di Artemide Efesia che potrebbe anche venir percepita come terrificante, tanto appare immane e disumana.
Dea più adorata della Grecia, Artemide era onorata con rituali molto popolari, anche se vari, così come vari erano gli aspettti della dea stessa. A Efeso, nel suo ricco tempio, Artemide era servita da sacerdotesse caste, che prendevano il nome di Melisse, o api, e da sacerdoti eunuchi. A Sparta era Korythalia, venerata con danze orgiastiche. Le Amazzoni adoravano la madre della guerra, Astateia, con una danza circolare durante la quale percuotevano gli scudi e battevano il suolo con i piedi ricoperti da calzari atti alla guerra. Sembra, però, che le feste più popolari in onore di Artemide fossero quelle celebrate durante le notti di luna piena, in cui i fedeli si radunavano nel bosco sacro alla Dea e si abbandonavano al suo potere, facendo baldoria e accoppiandosi senza conoscersi. La dea preferita della Grecia era dunque la personificazione della legge naturale, una legge così diversa da quelle della società, tanto più antica, forse destinata a durare eternamente.
ecate donnaSMeditazione Guidata per ArtemideIn ogni tempo di inizi della vita, come nei momenti in cui sentiamo il bisogno contattare la nostra indipendenza, la nostra libertà e il nostro istinto, può essere importante incontrare le energie di Artemide.
Il Cerchio della Luna ha preparato una meditazione guidata che ti guiderà delicatamente ad un incontro con la Dea Artemide. La meditazione è acquistabile in formato mp3, a fronte di un contributo di 19 euro.